Memento segna irrimediabilmente uno squarcio nella storia e nella scrittura di Emilia Bigiani.
L’evento dirompente è la perdita di una giovane figlia.
Si scrive per creare mondi, per travestire, trasmutare il “reale” in un gioco infinito di combinazioni e di specchi. Ma non qui, non davanti a questa morte.
Memento è la sgomenta e nuda poesia del dolore. E’ il faccia a faccia ineludibile, insanabile, tronco, ma non freddo. Ode sublime all'assenza, e mai lamento, arde il dolore in una grande luce.
Tu fior de la mia pianta / Percossa e inaridita, /Tu de l'inutil vita / Estremo unico fior, diceva Carducci. Così per Emilia, la solitaria - quella che mai si svela fra le righe del suo copioso narrare, quella che scrive, forse, per ancor più mimetizzarsi e sfuggire al riconoscimento – questa giovane figlia di nome Alessia non è solo l’amata e perduta ragazza azzurra dai mille doni. Alessia è anche, casualmente, il più vero e unico TU di una vita intera.
Allora l’IO si infrange e si sperde nel vuoto immenso, si mozza la voce senza eco, si fanno brevi i versi, le strofe galleggiano nella pagina. Pugni nell'aria sotto un cielo lontano, senza un Dio nascosto da qualche parte, un senso plausibile, un ancoraggio di riserva. Echi sommessi di Pavese, a oltre mezzo secolo di distanza, nei sussulti fra le colline.
Memento è questo canto muto, lapidario e notturno, a tratti altissimo e di una tenerezza struggente, diario e viatico da comodino per chiunque si trovi in viaggio nella desolata terra dell’addio.
M. Lia Lotti